Roma

Pensione e libera professione: gender gap pensionistico e prospettive future

Il gender gap che si riscontra sul mercato del lavoro, accentuato dal modello sociale ed economico prevalente, ha pesanti conseguenze anche al momento della pensione. Le donne si ritrovano spesso con assegni insufficienti e devono fare affidamento sul partner, con conseguenze sulla propria indipendenza.

Secondo un’indagine Linkedin in collaborazione con Censuswide, le neo mamme sono molto più propense a interrompere la propria carriera rispetto ai neo papà, ricorrendo in media a due anni di stop dal proprio lavoro.

Una situazione che non riguarda le donne single e senza figli, le quali si identificano come la categoria femminile con maggiore ricchezza perché hanno un crescente livello di istruzione, non hanno interruzioni di carriera a causa della maternità e, di conseguenza, accumulano più anni di esperienza lavorativa.

Ciononostante, persiste il gender gap anche tra donne single e/o senza figli e uomini seppur con percentuali più ridotte.

Divario di genere nel trattamento pensionistico

Il divario di genere nel trattamento pensionistico dipende principalmente da tre fattori:

  • retribuzione oraria,
  • tempi di lavoro,
  • anzianità contributiva

Tre variabili strettamente legate al mercato del lavoro, che evidenziano come la disuguaglianza di genere abbia una dimensione intertemporale e come le scelte fatte e le circostanze vissute durante la fase attiva di partecipazione (o meno) al mercato del lavoro abbiano una coda lunga.

A queste tre variabili si aggiungono:

  • i ritardi incontrati nel percorso di carriera,
  • l’insufficiente livello di informazione in campo finanziario,
  • la responsabilità femminile nella cura della famiglia che, per ragioni culturali, è ancora ampiamente in capo a loro.

“L’aumento della partecipazione femminile al mercato del lavoro rimane la chiave per una riduzione dei differenziali di genere nei redditi pensionistici e nei redditi in generale.”

Ma la situazione di doppia presenza femminile, nella famiglia e nel mercato del lavoro, costringe ancora oggi molte donne in età lavorativa a scegliere tra la sfera privata e quella pubblica.

Molte donne non accedono al mercato del lavoro. Se lo fanno vivono carriere discontinue e/o lavorano con impieghi part-time soprattutto a causa dei ruoli di cura che ricoprono.

La nascita di un figlio sembra rappresentare più di altro un momento decisivo nella vita lavorativa di una donna.

Infatti, la conciliazione tra vita familiare e lavorativa, in assenza di servizi adeguati per l’infanzia, induce molto donne in età lavorativa a rinunciare a un’occupazione a tempo pieno, ma può rappresentare anche un ostacolo all’avanzamento di carriera.

Può addirittura generare l’effetto di una “carriera a gambero”, di una retrocessione di mansione provocata da un aumento del tempo dedicato alla famiglia. Non a caso, uno dei periodi in cui sono minori gli accantonamenti pensionistici per le lavoratrici è quello tra i 25 e i 44 anni, età in cui avviene spesso la maternità.

Reddito di tipo pensionistico per le donne

Le donne accedono a un reddito di tipo pensionistico attraverso tre vie, concettualmente distinte, ma spesso combinate nella pratica:

  • la condivisione della pensione del coniuge,
  • la fruizione di una pensione di reversibilità,
  • l’acquisizione di diritti pensionistici basati sul proprio lavoro.

La prima, e di riflesso la seconda, sono messe a rischio dalla crescente instabilità coniugale. Fatti salvi casi limitati, esse non assicurano (e soprattutto non assicureranno) il benessere economico. Il terzo modo sconta gli effetti del divario occupazionale e di remunerazione che caratterizza il lavoro retribuito femminile.

Azioni in favore dell’occupazione femminile sarebbero preferibili. A cominciare anzitutto da una revisione del sistema di welfare il cui affidamento sulla sussidiarietà della famiglia costituisce un notevole ostacolo alla parità lavorativa tra i generi.

I limiti del welfare italiano pongono frequentemente molte lavoratrici di fronte a vere e proprie alternative valoriali più che a mere decisioni sui corsi d’azione. Configurano la scelta in termini di lotta tra fini giudicati ‘buoni in sé’: essere madre, essere lavoratrice, assistere i genitori o un parente disabile e così via. L’alternativa all’insoddisfacente welfare è rappresentata dall’iniziativa personale della lavoratrice che può attrezzarsi per tempo nella ricerca di soluzioni per integrare la pensione.

In Italia, ad esempio, si riscontra una certa diffidenza delle donne ad investire, nonostante siano molto interessate alla possibilità di mantenere una propria stabilità nel futuro.

Le decisioni di gran parte delle donne in merito al loro impegno nel mercato del lavoro (scelta del settore, carriera, disponibilità oraria) e sul loro futuro pensionistico, maturano in relazione ai convincimenti personali riguardo a ciò che è giusto, conveniente o probabile.

La presenza di questi orientamenti potrebbe suggerire l’idea che la sfavorevole condizione lavorativa delle donne derivi, oltre dai fattori ben noti – il carico di cura familiare e le rigidità del mercato del lavoro – anche da una minore spinta personale alla competizione e all’affermazione professionale.

Tale conclusione, per quanto plausibile, presenta numerose controprove.

Anzitutto diverge dalle risultanze di numerose indagini internazionali che evidenziano l’importanza attribuita dalle donne italiane al lavoro in termini di realizzazione personale e indipendenza.

In secondo luogo contrasta con la tendenza, in atto da alcuni anni, che vede le ragazze applicarsi con maggior determinazione dei ragazzi negli studi, superandoli in termini di titoli ottenuti e valutazioni conseguite.

Fonti e Contributi

Caterina Corsica Law & Business Coach Rete al Femminile Napoli

Caterina Corsica

Sono laureata in Economia e Commercio con una specializzazione in Scienze e Tecniche delle Amministrazioni Pubbliche. Sono una formatrice, consulente aziendale e Personal Coach per studenti universitari e libere professioniste.

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