Torino

Come le storie cambiano il mondo delle donne (e di tutt3)

Cosa significa raccontare storie? Perché lo facciamo?
Come possono le storie aiutarci nel nostro lavoro e nella costruzione della nostra identità, professionale e personale?

“Siamo le storie che raccontiamo…”

Questa citazione dello scrittore americano John Barth rappresenta la modalità con cui ci presentiamo a noi stesse e alle altre persone; la punta dell’iceberg che scegliamo di mostrare attraverso i dettagli che parlano per noi e di noi.

C’è chi si racconta attraverso mani che si intrecciano, chi con un sogno di bambina, le scarpe rosa e i nastri sempre arruffati; chi ritrova in una mongolfiera e nella luna la spiegazione della propria creatività.

Raccontare noi stesse, come donne, professioniste e, soprattutto, come persone, passa attraverso i mondi che scegliamo di comunicare con le parole. È grazie a quei mondi che possiamo comunicare passioni, costruire ponti, avviare relazioni.

Bastano le storie?
Mi piace pensare che per arrivare davvero al cuore abbiamo bisogno di farci amica anche l’altra parte di noi, quella razionale, ligia, diffidente. E allora storie e dati vanno a braccetto, in ordine di preferenza a seconda di quale sia la parte – la razionale o l’emotiva – che vogliamo (o possiamo) lasciar prevalere.

Sono in tanti ormai ad affermare che sono le emozioni a fissare i dati, i racconti a dare potere alle informazioni e le storie ad illuminare la statistica.

Anche la Storytelling Coach Karen Eber, nel suo Ted Talk ‘How your brain responds to stories — and why they’re crucial for leaders’, sottolinea l’importanza delle storie per dare forma e peso ai dati. E non viceversa.

Altrimenti, come mai, per smettere di fumare non basta l’ennesimo report dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ma dobbiamo toccare con mano la storia di un’amica, un vicino, una conoscente?

Anche nello storytelling, l’emozione non è tutto, e una storia di impatto va anche saputa raccontare.

Così, provando a sottolineare – con nessuna pretesa di esaustività – alcuni punti chiave per chiunque voglia lanciarsi in questo percorso, quattro potrebbero essere gli elementi da tenere in considerazione:

  1. Chi è il mio pubblico? Che bisogni ha? Cosa vuole sentirsi dire?
  2. Come posso raggiungerlo col mio messaggio, tessendo un “ponte” con la mia storia?
  3. Qual è lo scopo del mio racconto? Voglio creare empatia? Sviluppare connessioni? Vendere un servizio?
  4. Che cosa voglio lasciare, quale potrebbe essere la mia call to action?

Storie difficili e d’ispirazione

Esistono storie con messaggi forti, le storie di impatto, i racconti difficili, come quello di Hope, il video della Croce Rossa Internazionale premiato a Cannes, che scuote senza tante parole, rendendo reali dei numeri che ancora troppo spesso non si portano dietro il peso delle loro storie.

Riesce in questo intento il video, la storia di questo papà siriano e quella della sua bimba, una storia che urla forte come la guerra. E, purtroppo, la ninnananna che proprio quel papà canta non riesce a calmare quel dolore che nei conflitti succede.

Il potere della storia, allora, sta nel portarci lì, nel farcelo vedere, nell’imprimerci un ricordo, indelebile come uno sguardo nel quale ritrovare il nostro stesso papà.

Storie di donne che ci sono di ispirazione

E esistono anche storie di grande ispirazione come queste, di quattro donne coraggiose che hanno fatto delle storie il loro superpotere.

Chimananda Ngonzi Adiche, femminista e scrittrice nigeriana, nel suo libro Americanah affronta il tema della ricerca di una nuova identità a metà tra due case, tra due vite, tra due mondi; mentre nel l suo bellissimo talk ‘Il pericolo di una storia unica’ ci racconta, attraverso la sua esperienza personale, come sia importante non accontentarsi di una storia unica.

Tracy McMillan, autrice statunitense, ci ispira attraverso una storia vera – la sua – un’infanzia di abbandoni, i fallimenti relazionali e, finalmente, la scoperta che le ha cambiato la vita, come racconta commossa nel TED che ha raggiunto milioni di persone: chi sia l’unica persona che ciascuna di noi dovrebbe sposare.


E poi Brenée Brown, la paladina della vulnerabilità, che con la sua ironia tagliente parla di come sia stata definita storyteller per vincere la noia che il pubblico avrebbe avuto di fronte al suo animo da ricercatrice. Ride di sé stessa, Brenée, quando ci racconta quanto le fosse sempre piaciuto misurare e controllare tutto, persino i sentimenti; e come la vita, invece, si sia presa gioco di lei e le abbia consegnato in mano la vulnerabilità e l’incertezza, fonte di tutte le connessioni più profonde.

Infine, Glennon Doyle, scrittrice americana, che è passata da essere l’idolo di tante famiglie cristiane a dichiararsi lesbica, rompere un matrimonio per restare fedele all’amore; scegliere per sé e per i suoi figli, una strada in salita, legata alla verità e alla non negazione. Fino a raccontarlo, a tanti altri, perché tutti, in fondo, ci si senta un po’ meno strani, un po’ meno diversi, un po’ meno soli.


Lasciarsi ispirare

Questo è quello che abbiamo fatto e che ci aiutano, sempre, a fare le storie.

Riconoscerci in un TED, in un libro, in un podcast ci aiuta a connetterci con una parte profonda, emozionale, di noi, che, parola dopo parola, storia dopo storia, ci porta a cambiare: noi per cambiare poi, passo dopo passo, il mondo.

Dalla riunione di Rete al Femminile Torino del 23 febbraio 2021: un momento di incontro e confronto in cui ci siamo lasciate ispirare da video e TED legati al sociale, che ci hanno aiutato a condividere il potere delle parole applicato alle nostre storie, per far luce sul nostro percorso e sulla nostra “chiamata”, personale o professionale.

Libri consigliati:

Natalia Pazzaglia

Sono una consulente e formatrice nel project management e nello storytelling. Aiuto organizzazioni e professionisti a raccontare la propria identità in maniera strategica, creando messaggi di valore per il proprio pubblico, e ad avviare progetti ad impatto sociale, identificando obiettivi, azioni, partner e flussi di lavoro.

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